Bellevue – Studio Trisorio, Napoli 2010-2011

Bellevue - manifesto della mostra, 2010-2011

Bellevue

Un parcheggio nel bel mezzo delle Dolomiti fa un certo effetto. Siamo ai piedi delle Tre Cime di Lavaredo, patrimonio dell’umanità, Italia. Una rotta turistica per eccellenza, oggetto della mia ricerca attuale, il turismo di massa è un fenomeno che non smette di incuriosirmi. Sono con un’amica, esperta di queste zone, desiderosa di ritrovare dei luoghi da cui mancava da tempo e anche di capire cosa sarei riuscita a farne. La passeggiata che parte da questo parcheggio e arriva a un rifugio è straordinaria. Il percorso si snoda attraverso panorami mozzafiato, il terreno, la luce, le pietre che si calpestano sembrano appartenere a un altro mondo, lunare e metafisico. “Vai avanti” le dico, “ti raggiungo”.
Bisogna volere un gran bene agli artisti, sapere che accompagnarli significa a volte ritrovarsi soli a passeggiare. Ho passato più di due ore su e giù per il parcheggio, cercando un punto di vista giusto che mostrasse una sorta di Y sulle montagne, abbandonando così la mia amica a un godimento solitario della natura. Più avanti, infatti, la bellezza di questo luogo diventa incontaminata, l’ambiente è meno rovinato da questa specie di area di servizio. Eppure è proprio l’orrore mescolato all’incanto di questa scena ad attrarmi, come se in tutte le cose belle ci fosse necessariamente una parte brutta. Un’ombra cui non si può fare a meno, perché parte indissolubile della bellezza stessa. La bruttezza che genera bellezza. Ecco, è in questa contraddizione che leggo tutto quello che mi circonda.

La periferia che ho cercato a lungo nelle città italiane, ritorna nel paesaggio naturale. La bellezza è nell’orrore della periferia, l’orrore della periferia nella bellezza di questa natura. Il fascino di un rifugio di montagna per esempio può avere il suo orrore. Per quanto il legno con cui è fatto rimandi a una dimensione calda e confortevole, nell’albergo a 4 stelle “Bellevue” la sensazione si rovescia. Il palazzone costruito sull’impronta ideale dello chalet è inquietante, provoca disagio. Un edificio della ex DDR? Una facciata posticcia ricostruita per una fiction? Una scenografia per un’operetta teatrale dell’ottocento? Un parco dei divertimenti? La scritta “Bellevue” campeggia al centro dell’immagine e sembra prendersi gioco del visitatore. E’ bastato cambiare punto di vista. Invece di dare le spalle alla scritta e godersi il paesaggio, guardiamo l’insegna, così il palazzo sembra compiacersi della propria presunta bellezza. Perdendo di senso.
Ma come fai, a essere bello con tutti quei gerani tanto identici da sembrare artificiali? Come fai, con tutti i cuoricini intagliati nei balconi, ad apparire reale? I gerani sono una vera ossessione in Alto Adige, non c’è finestra che non ne abbia uno. Si sa, le cose fuori contesto sembrano assurde, lì dove invece nella giusta collocazione hanno un senso. All’hotel è bastato essere fotografato per apparire fuori luogo, agli sciatori, uscire da un muro bianco di galleria. Costretti da un’ossessiva ripetizione, paiono trovare qui una via di fuga.